Moda, Cinema & Celebrità

SONO QUESTI I TEMI CON I QUALI LA FOTOGRAFA FRANCESCA PRADELLA HA ARRICCHITO LA RIVISTA DI PROFILO DONNA MAGAZINE

intervista di Cristina Bicciocchi
Foto di Francesca Pradella - www.10photography.com

La collaborazione con la rivista trimestrale patinata è iniziata 12 anni fa e questanno in occasione del Trofeo di Golf e della 35° edizione del Premio Internazionale Profilo Donna, allestiremo una mostra dedicata al lavoro della professionista modenese dal titolo “Celebrities”; una selezione delle personalità famose fotografate nelle più importanti manifestazioni di settore in Italia e nel mondo. Tra viaggi in Italia ed all’estero, red carpet ed interviste, incontriamo Francesca Pradella di ritorno dalle sfilate di Parigi, prima che riparta per il Festival del Cinema di Cannes...

Buongiorno Francesca, oggi capovolgiamo i ruoli... sei tu ad essere intervistata e fotografata e a raccontarci un po del tuo lavoro. Cominciamo subito con il chiederti come è nata la tua passione per il mondo della fotografia.
La mia prima passione, dall’infanzia, era il disegno. Credo che la fotografia ne sia stata la naturale progressione. Andavo in gita scolastica alle medie e scattavo 3 rullini in un giorno: qualcosa di inconsueto, evidentemente, temo si potesse intuire!  

Sappiamo che hai studiato in Italia e, soprattutto, all’estero (con un istituto di New York); quali sono stati i tuoi ispiratori o Maestri?
La Storia dell’Arte è sempre stata una delle mie materie preferite: da Pollock a Caravaggio, dal Bernini a Sargent; scultura, pittura... sono stati ingredienti importanti di quel magma creativo che, penso, ognuno di noi abbia in sé. Robert Capa, per il coraggio di ciò che ha fatto; Vivian Maier per la casualità della fotografia, che sento in comune con lei; Sebastiao Salgado (durante la pubblicazione di questa intervista, il Maestro è venuto a mancare, per mio enorme dispiacere), per la potenza di luci e ombre; ma anche Susan Sontag: non sarei la stessa fotografa se non avessi letto il suo saggio, “Sulla Fotografia”. Ho fatto da assistente ai Workshop di Fotografia Europea per VII, Magnum Photos e NOOR, altro bagaglio preziosissimo; oltre ad aver aiutato fisicamente nell’allestimento di mostre per Sarah Moon, Herbert List ed altri. Nel cinema, la sensibilità narrativa di Peter Weir, il genio cromatico di Wes Anderson, la direzione della fotografia di Jordan Cronenweth, gli universi paralleli di Tim Burton. Ultimo, ma non per importanza,  il Maestro Mauro Galligani; mi ha regalato la consapevolezza che, anche quando la società sembra non capirlo, un’immagine può cambiare, letteralmente, gli equilibri del mondo.

Oggi sei una delle poche professioniste in giro per il mondo ad affrontare le difficoltà di un mestiere che ti tiene spesso lontano da casa, ma che per le sue prerogative è stimolante e ti mette a contatto con mondi creativi...
Siamo poche (ma, oggi, molte di più di quando ho esordito, per fortuna) perchè è un mestiere che ti costringe, se vuoi fare esperienze formative nel reportage, a muoverti. Ho molto rispetto per chi prova a sopravvivere di questo lavoro a livello puramente locale, ma non è mai stato il mio istinto; amo viaggiare, l’imprevedibilità del fotogiornalismo. Il passaporto in borsa, dormire quasi mai più di due settimane nello stesso letto: è una vita che ti mette di fronte a diversi demoni. La solitudine, la stanchezza, l’incertezza. Quando, per motivi di salute, ho dovuto rallentare, ho capito che provare a contrastare questa mia inclinazione è altamente deleterio. Ogni tanto invidio chi ha una routine ma poi ho quell’urgenza della scoperta che mi dice che la vita è corta; e sono fuori dalla porta. Non è un percorso lineare, si è sottoposti al giudizio in parte soggettivo di chi valuta il tuo lavoro ed è molto sano cercare di tracciare una linea fra la propria persona e questo lavoro; ammetto che resto molto sensibile al giudizio altrui.
Quando dubito del mio ruolo nel mondo, mi ricordo come sarebbe senza foto e video; penso che, forse, posso ancora fare qualcosa per aiutare gli altri, nel mio piccolo. Raccontare storie in un quotidiano che non sembra aver più tempo di leggere, ci rende “insegnanti” casuali di realtà altrimenti ignorate. Fa paura il potere di quella scatoletta, può davvero diventare un’arma che mina autostima, cambia la politica, può equivocare una cultura. Pensare, prima di scattare, non è più solo un’opzione; deve essere un modus operandi imprescindibile da parte di chi lo fa per professione.

Quali sono le esperienze di lavoro che ti hanno formata maggiormente?
Nessuno mi ha davvero insegnato questo mestiere; ho dovuto inventarlo, costruirlo intorno alla mie pelle.
Non ho avuto una guida, ma l’amore per la fotografia è ciò che mi ha sempre tenuto in piedi, nel lavoro come nel privato. Gli errori sono dolorosi, inevitabili; ma, anche, dei maestri, affermava, Ida Bauer: “se la sofferenza vi ha reso cattivi, l’avete sprecata”.
Nei momenti difficili, cerco di ricordarmene.
Si impara tanto, dai fallimenti. Che ci sono stati, ci sono e ci saranno. Mi hanno formata anche tutte le persone che mi hanno permesso di fotografarle, le considero i mattoncini del sentiero che mi sto costruendo.
Ho clienti meravigliosi che mi hanno supportato tanto, senza nemmeno rendersene conto, con un piccolo “grazie”. Non li dimentico, mai.

Il mondo dell’immagine in questi anni di grandi cambiamenti, come sta evolvendo dal punto di vista concettuale e tecnico?
L’intelligenza artificiale è un enorme aiuto ma anche un’incognita destabilizzante; se da un lato, permette di fare cose prodigiose, dall’altro sta mettendo in ginocchio il mondo dei creativi; si premia più il risparmio che l’unicità, la legislazione sulla proprietà dell’immagine è lacunosa; così come gli editoriali di moda, dove i diritti sul volto di una modella consentiranno di creare artificialmente shooting ovunque, con qualunque meteo, luce…senza truccatori, stylist, fotografi, videomaker. Se è vero che tutti siamo utili ma nessuno  indispensabile, giocare d’anticipo è fondamentale. La chiave è, paradossalmente, l’introspezione: trovare e condividere la propria singolarità nell’esprimersi e pluralità nell’immedesimazione; l’humanitas, quella che ti rende non sostituibile da un un insieme di codici. Tra le celebrities che hai immortalato, quali sono quelle che ti hanno maggiormente affascinata?
Nella mostra “Celebrities” ho fatto una selezione di 20 scatti che hanno un racconto alle spalle.
Mi sembrava presuntuoso appendere delle immagini per sentirmi dire “brava”. Ci sarà un link con un audio relativo ad ogni scatto, da ascoltare mentre le si osserva.
Il senso di quello che faccio, non è così immediato.
La didascalia conta tanto quanto la foto.
Un grazie speciale al mio caro amico e collega, Corrado Corradi. Mi ha indirizzata lui ai red carpet, portandomi con sé a Venezia tanti anni fa”.

Cosa sogni per il tuo futuro di fotografa?
Mi piacerebbe per me, per i miei colleghi e le mie colleghe, più sicurezza. Magari un Ente o un Albo ufficiali.  Crescere, migliorare, vedere che ho fatto un passo in più rispetto a ieri.
Viaggiare, per ridimensionare l’ego e la mia ignoranza, trovare un modo per rendere la mia professione più utile agli altri.


FESTIVAL CINEMA CANNES

Palma Politica: 
UN TAPPETO ILLUMINATO,
FORSE PIÙ DI CERTI
PALAZZI DEL POTERE

testo e foto Francesca Pradella - www.10photography.com

È una palma che vorrebbe farsi ulivo della pace, quella di Cannes 78.
Lo fa con quella determinazione e quel coraggio tutto francese; fra i lustrini glamour ed i cravattini in seta, questa edizione non chiude il sipario sul mondo: lo lacera.
Fatima Hassouna, 25enne fotogiornalista palestinese, è stata uccisa a Gaza, lo scorso 16 aprile, durante un bombardamento aereo israeliano, con altri dieci membri della sua famiglia; il Festival la ricorda ed onora nella sezione parallela, Acid (Association for the Diffusion of Indipendent Cinema), con un documentario diretto da Sepideh Farsi, Put your soul on your hand and walk. Il lungo applauso del pubblico alla prima, non copre il rumore ormai assordante delle bombe che continuano a colpire senza alcuna distinzione, privando il mondo di questa innocente giovane promessa del reportage internazionale. Il mio lavoro di copertura fotografica dei red carpet è stato, forse come non mai, spesso interrotto dai cani anti-esplosivi, perchè l’oggi costringe un pò anche a questo.
Del resto, arrivano Bono Vox, The Edge e Sean Penn che posano sulla celeberrima scalinata rubino con soldati ucraini in tuta mimetica; un gesto lontano dalla sorda neutralità dilagante, non nuovo da parte del leader degli U2, protagonista del documentario Bono: Stories of Surrender.
E che giustifica il lungomare costantemente pattugliato dallesercito.
Ma non finisce qui, la vis politica di questa edizione: Julian Assange, australiano cofondatore di Wikileaks, protagonista di The Six Billion Dollar Man, arriva in Costa Azzurra portato da Eugene Jareki; scarcerato il 24 giugno 2024, mostra un lato inedito della sua storia proprio tramite la pellicola. L’uomo che ha fatto tremare potenti in USA, Gran Bretagna ed altri Stati, non fa una grinza al rivoluzionario tapis rouge del Festival.
Si prosegue, con non poche polemiche, con la vittoria della Palma D’Oro 2025 per Un simple accident del regista iraniano Jafar Panahi; Juliette Binoche, a capo della giuria composta da Halle Berry, Alba Rohrwacher, Payal Kapadia, Leìla Slimani, Dieudo Hamadi, Hong Sangsoo, Carlos Reygadas e Jeremy Scott, ha incoronato un film inno della resistenza al regime iraniano. Commosso, nel ritirare il premio, ha detto: “Ciò che conta è il nostro paese e la nostra libertà. Nessuno osi dirci come vestirci, cosa fare o come comportarci”.
Si stenta a credere ad una casualità in questa onorificenza, anche pensando al discorso di Robert De Niro, premiato con la Palma D’oro durante la cerimonia di apertura. Non vi è stato alcuno sforzo criptico nel sottolineare la sofferenza del suo paese, in balia di un governo che di dorato pare avere ben poco. La società tende a guardare queste kermesse come luoghi a parte, fuori tempo e protetti da un lustro ovattato; il Festival ha dimostrato non solo coscienza del presente, ma che, forse, quel tappeto, se steso bene, oltre le palme, i cocktail e i flash dei fotografi, può far appoggiare piedi anche di coloro agli angoli del mondo, dove i riflettori arrivano ancora troppo poco.
Merci per la libertà, eguaglianza e fraternità, Cannes.


FASHION WEEK PARIS

testo e foto Francesca Pradella - www.10photography.com

Credo sia facile intuire un certo sentimento di sopraffazione quando, alla mia terza fashion week, mi ritrovo direttamente a Parigi. Parlare di moda e della capitale francese senza scadere nell’ovvio, nello stereotipo, nel deja-vu, è complicato; vengono in mio aiuto, gli scatti che ho portato a casa nelle mie SD, che penso narrino più di quanto io sia in grado.
La Fall Winter 2025-26, ha come protagonista indiscussa, la pelle: vera o finta, dai vestiti agli accessori, eleva, protegge, caratterizza.  Il cuoio come il vinile, avvolgono i corpi, scolpiscono simmetrie, giocano con i contrasti. Il nero, il mocha mousse (colore Pantone 2025), ma anche il verde ed il giallo intenso. La spinta è sempre più androgina: la femminilità non è più associata ad abiti che costringono, ma che abbracciano gli arti, valorizzano. Indumenti che facilitano la giornata, alleggeriscono le spalle, danno carattere ma rispettano il quotidiano. Un prêt-a-porter che mostra coerenza con il suo nome. La bellezza, il lusso ci sono: ma domati in forme più concilianti con la vita intensa di chi appartiene al presente. La mia paura di trovarmi in un mondo sordo e dissociato, è svanito di fronte alle matite di Maria Grazia, Chemena, Muccia, Ashley e Mary Kate, Matthieau, Victoria ed altri. Ci ho visto più nomi, anime, che cognomi.
Se vi dovessi riassumere la settimana, ruberei le parole di Georges Bernanos: Il n’y a pas de veritas moyennes (“Non esistono mezze verità”). La lingua della moda francese detta le sue regole, come forse nessun altra città al mondo: Parigi c’è stata, c’è e sempre ci sarà, coniando parole per il vocabolario del fashion, più di ogni altro luogo. Ma con una maggior dolcezza ed empatia per l’adesso.

 

 

 
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