La mia Libia

Casa Museo Enzo Ferrari

Sarà un caso, ma nel nuovo libro della contessa Marina Cicogna, dal titolo La mia Libia, per l’autrice, nata nella città delle calli e dei canali e ora modenese di adozione, a mio avviso, le date sono importanti. Le foto, scattate in bianco e nero, retaggio di un’epoca passata, ogni tanto emergono dall’oblio del tempo, siano esse conservate in una semplice scatola pubblicitaria di latta o in un baule con impresso gli stemmi di famiglia. Sì, perché La contessa discende da due antichi casati italiani i Mozzoni (Lombardi) e i Cicogna (Veneti), con una aggiunta di nobiltà più recente, dovuta al nonno Giovanni Volpi. Governatore dal 1922 al 1925 di quella Libia che allora era un mare di sabbia, ma che grazie proprio a lui, vide la nascita delle prime macchie verdi strappate con tenacia tutta italiana al deserto. Per questo motivo Vittorio Emanuele III lo insignì del titolo di Conte di Misurata, cittadina sul golfo della Sirte, dove il Conte acquistò la villa nella quale sono stati impressi tanti scatti. La sottolineatura della discendenza non è una semplice divagazione per riempire la pagina ma, per inquadrare il perchè le date sono importanti. Nel decennio che va dal 1957 al 1967 c’è tutto un periodo che non potrà essere dimenticato dall’autrice. Un periodo che per altro non potrà essere ripetibile. Viviamo in un’epoca che possiamo definire poco elegante e che spesso dimentica il galateo, lontano anni luce da quel mondo. Un mondo con le sue rigide regole di comportamento e ferree discipline, per chi aveva la fortuna o la sfortuna di nascere in una famiglia di antico censo. L’arricchito o il benestante borghese doveva seguire solo la regola dell’educazione. In Libia la famiglia ‘allargata’ agli illustri ospiti che sono impressi nel cartoncino, si trasferiva due volte all’anno in primavera e in autunno. E a mio parere l’ultimo autunno, quello del 1967, passato in Libia, è anche l’ultimo periodo della prima Marina, che vede sparire il suo mondo. Un mondo che come scrive Sergio Romano: «Ci restituiscono il ritratto di una società un po’ mondana e un po’ frivola – e prosegue – ma vi sono anche scrittori, uomini, donne del cinema e del teatro». E qui sta l’essenza di quelle foto datate, dove nel salotto e nel giardino della bella villa, sono immortali personaggi che hanno fatto epoca. Le persone ritratte, hanno lasciato un’impronta, che può essere immortalata su un libro che parla della storia del cinema o di altra arte. Un’enclave di arte e cultura, questa villa, destinata a scomparire dalla sua vita due anni dopo con l’arrivo al potere del dittatore Gheddafi. Espropriata nel 1970, come tutte le altre case di proprietà dei circa 20.000 italiani che risiedevano in quella nazione e mai risarciti completamente sia dal governo di allora e sia dai governi successivi. Governi, anzi, sempre tesi a piegare la schiena di fronte al beduino. Cosa che La contessa non ha mai fatto, come lei stessa racconta: «I figli di Gheddafi mi invitarono un paio di volte: non mi erano simpatici per niente, rappresentavano la protervia, lo sperpero di denaro. Non ho più voluto tornarci, preferisco ricordala com’era». Viene spontaneo dire: brava, così si fa! Mi piace anche pensare che con quel suo gesto abbia voluto rappresentare gli altri 20.000 italiani che per censo e per fama non sono stati ‘invitati’ da questi maligni parvenue della storia. L’alba del ’68 è alle porte, con i suoi pregi e i suoi difetti. Quell’anno spazzerà via quel mondo. Però ci darà una nuova Marina, che proprio nel 1968 inizierà la sua sfolgorante carriera di produttrice cinematografica, sceneggiatrice e attrice italiana. Quello che si può definire il cinema d’autore, con titoli del calibro di: Indagini su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, che vinse l’Oscar nel 1971, come miglior film straniero. Tornando al presente, non trovo nulla da scrivere, perché lo scritto non riesce a carpire tutto quello che c’è negli scatti. O meglio, il perché quel giorno, in quel determinato momento, la contessa decise di scattare quella foto a quel personaggio. Certo, molti scatti sono dovuti a un particolare momento, ma possono anche essere un istante segreto che si vuole ricordare. La foto non si fa a comando, a meno che tu non sia un fotografo. Questi sono scatti che dietro hanno una storia. Forse queste vicende e il loro segreto verranno svelate quando, se mai all’apertura di un nuovo baule emergeranno altri scatti che daranno il via alla stesura di un nuovo libro delle sue memorie al fortunato biografo di turno. Questo è il secondo volume di Marina Cicogna. Il primo fu pubblicato nel 2009 con il titolo Scritti e scatti. Un particolare: il nuovo volume è stato presentato a Roma nella splendida cornice della Sala Aldo Moro al Ministero degli Affari Esteri, alla presenza del ministro Giulio Terzi di Sant’Agata. Non poteva che essere così. Suo nonno era stato un ­rappresentante dello Stato italiano. A Modena bisognerà attendere marzo per la sua presentazione.
Un complimento all’amico fotografo Ro­berto Vacirca che l’autrice ha voluto al suo fianco, come per il precedente volume, e che ormai è diventato il suo photo editor.


 
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