150 DELL’UNITÀ D’ITALIA

a cura di Carlo Italo Vittorio Nardi

torino

















Sono partiti in sordina, senza tanti clamori, i festeggiamenti per i 150 anni dell’Unità d’Italia. Questo importante evento che dovrebbe essere un momento di gioia e di sano patriottismo (attenzione non di nazionalismo, parola ormai bandita nel nostro vocabolario dalla fine della seconda guerra mondiale), rischia di creare un revisionismo negativo, nei fatti che portarono all’Unità d’Italia che in massima parte sono positivi. Alcuni esempi: gruppi che si definiscono neo borbonici accusano il nord, o meglio Casa Savoia, di avere impoverito il mezzogiorno del paese e di averlo depredato delle sue risorse, oppure certi atteggiamenti della Lega Nord riguardo l’inno nazionale e il tricolore. Attenzione tutto quello sopra citato rientra nella logica democratica del confronto.
Il negazionismo del Risorgimento, che viene principalmente da gruppi meridionali, non deve essere taciuto, ma voci ben più autorevoli della mia devono contestare le loro tesi, che in alcuni casi sembrano decisamente assurdi e sfiorano il ridicolo.
Dipingere il Regno delle Due Sicilie come se fosse una sorte di eden, lascia sbalorditi, come se la vita del “cafone”, che lavorava la terra dei baroni fosse un esempio da esportare nelle terre già libere del Canavese o delle risaie del Vercellese o nella pianura padana, dove la vita del contadino o della mondina, era si già grama, ma non certo ai livelli meridionali. Semmai c’è da dire che sono stati proprio i contadini meridionali e i soldati del disciolto esercito di Francesco II di Borbone a continuare una guerriglia che portò solo lutti e devastazioni e che non venne certo fomentata, nè dalla classe intellettuale, nè dalle grandi famiglie nobili meridionali, che avevano capito, che contro la storia non si può andare e che non ci sarebbe stato un nuovo Congresso di Vienna, che avrebbe riportato alle condizioni ante 1789. Quindi i baroni e i duchi del fu Regno delle Due Sicilie, si adeguarono subito, si inchinarono velocemente al nuovo re e alla nuova regina, visto che il clima e le condizioni delle fortezza prigione di Fenestrella (tanto cara al revisionismo neo borbonico), non era adatto al loro modo di vivere (cioè riveriti e serviti proprio da quei cafoni che si battevano, pochi per la verità, per quel re Francesco II di Borbone, che in fondo non aveva fatto molto per modificare la loro vita grama).
Tornando alle celebrazioni per l’Unità d’Italia, le avvisaglie che tali manifestazioni non sarebbero state un gran che, si erano già avute l’anno scorso, quando uno degli artefici dell’unità del paese, un tale Camillo Benso conte di Cavour, grande tessitore dell’alleanza con Napoleone III Imperatore di Francia, che con il suo esercito era sceso in Lombardia per aiutare le truppe del Regno di Sardegna contro gli austriaci nella seconda guerra d’indipendenza, orbene questo Cavour, nel bicentenario della sua nascita, era stato quasi dimenticato. Ma il grande statista piemontese si può consolare, è in buona compagnia. Infatti un altro dei quattro artefici, secondo la storiografia risorgimentale e ufficiale dell’Unità d’Italia, il re Vittorio Emanuele II di Savoia, gli altri due sono Giuseppe Garibaldi, Giuseppe Mazzini e il sopra citato Cavour, il Re quindi, rischia di essere, se va bene dimenticato, meglio criticato quasi come se in questi avvenimenti lui, il re sabaudo, ci si sia trovato coinvolto quasi per caso. Ora possiamo fare tutti i distinguo del caso, che questa nazione poteva nascere sotto altri auspici, come certi storici moderni vanno proclamando, può essere anche possibile, ma ci dimentichiamo, che molto spesso del senno del poi sono pieni i fossi. Erik Durschmied, scrittore e giornalista per la BBC - CBS ha scritto una serie libri, nei quali ha analizzato gli episodi e le battaglie della storia. Bene in questa sua analisi il mondo attuale è così perchè in molti episodi l’intervento del caso o della natura o della singola persona, ha influito in maniera decisiva e cambiato il corso della storia. Un esempio: cosa sarebbe successo se nel primo scontro sostenuto dai garibaldini il 15 maggio 1860 a Calatafimi in Sicilia le truppe borboniche, superiori, sia come uomini, sia come artiglieria, invece di essere comandate dal vecchio e acciaccato generale borbonico Francesco Landi, avessero avuto un comandante più giovane e un tantino più agguerrito? Sicuramente la spedizione dei mille sarebbe naufragata sul nascere! Ma a posteriori non si fa la storia! Quindi, con buona pace dei professionisti che sono stati chiamati a raccontarci l’Unità d’Italia, l’unica cosa certa è che nel bene e nel male, se esiste questa nazione lo si deve a due sovrani sabaudi che misero a repentaglio il loro, sia pur piccolo regno. Non solo. Molte volte viene dimenticato da questi storici che l’aiuto fornitoci dalla Francia fu poi pagato a caro prezzo, con la cessione della Savoia culla della dinastia Sabauda e di Nizza. Inoltre Vittorio Emanuele II dovette accettare controvoglia il matrimonio tra la sua figlia prediletta Maria Clotilde di Savoia e Napoleone Giuseppe Carlo Paolo Bonaparte, per gli amici Plon-Plon, noto e attempato libertino. Questo matrimonio fu combinato da Cavour e da Napoleone III per rafforzare l’alleanza fra le due nazioni. Per questo motivo a mio avviso sarebbe opportuno che almeno un mazzo di fiori venga deposto dove esiste una lapide o un monumento dedicato a questo Re che ha permesso nel 1861 la nascita della nazione Italia. Ma per arrivare a questo bisogna fare un passo indietro e andare al 18 marzo 1848 quando i milanesi si ribellarono al dominio Austro Ungarico. Il 23 marzo del 1848, Carlo Alberto di Savoia dichiara guerra all’Austria e così ha inizio la prima guerra d’indipendenza italiana. Il 26 marzo Carlo Alberto entra a Milano acclamato dai cittadini. Nel mese successivo i sovrani italiani inviano truppe a dar manforte ai piemontesi, ma pochi giorni dopo, per esattezza il 29 aprile il Papa Pio IX, ritira le truppe dalla guerra contro l’Austria e in maggio anche la Toscana e Napoli si ritirano dalla guerra contro l’Austria. Il 23 luglio viene combattuta la battaglia di Custoza dove le truppe piemontesi sono sconfitte: il 9 agosto, dopo che l’Austria aveva rioccupato Milano, viene firmato l’armistizio di Salasco. Il 24 novembre Pio IX lascia Roma e si rifugia a Gaeta e il 9 febbraio 1849 viene proclamata la Repubblica Romana. Il 12 marzo Carlo Alberto, in un estremo tentativo, riprende la guerra contro l’Austria, ma nello stesso mese il 23 viene sconfitto a Novara e abdica in favore di suo figlio Vittorio Emanuele. Il 9 agosto dello stesso anno viene firmata la pace che pone fine alla prima guerra di indipendenza. Nel 1852 Camillo Benso conte di Cavour, presidente del consiglio del Regno di Sardegna inizia una politica favorevole alla Francia e all’Inghilterra al fine di guadagnarsi l’appoggio delle potenze d’Europa. Nel 1855 nell’ottica di questa politica estera, Cavour invia un corpo di spedizione piemontese a fianco di Francia, Inghilterra e Turchia in Crimea contro la Russia. Questo portò il piccolo regno piemontese a sedersi al tavolo delle trattative del congresso di Parigi nel 1856 e di allacciare i primi contatti con Napoleone III. Successivamente, nel luglio 1858 con gli accordi di Plombieres, Cavour ottenne che la Francia intervenisse in aiuto del Regno sardo-piemontese se fosse stata attaccata dagli austriaci. Il 30 aprile del 1859 l’Austria dichiarò guerra al Regno di Sardegna e invase il Piemonte arrivando fino a 50 chilometri da Torino. Nel frattempo i francesi erano scesi in Italia in soccorso delle truppe piemontesi, e a Montebello il 20 maggio sconfiggono gli austriaci. Dieci giorni dopo le truppe piemontesi sconfiggono gli austro ungarici a Palestro. Dopo diversi altri scontri che videro la vittoria dei due alleati, l’8 giugno Napoleone III e Vittorio Emanuele entrano a Milano. Il 9 giugno il consiglio comunale di Milano ribadisce la validità del plebiscito del 1848 che sanciva l’annessione della Lombardia al Regno Sabaudo. Il 24 giugno i franco - piemontesi sconfiggono gli austriaci nelle battaglie di Solferino e di San Martino. L’11 giugno Napoleone III s’incontra con l’imperatore austro ungarico Francesco Giuseppe a Villafranca dove fu sottoscritto l’armistizio. Con il trattato di Torino del marzo del 1860 il Piemonte concludeva la seconda guerra di indipendenza con l’annessione della Lombardia, del Ducato di Modena, di Parma, l’Emilia, la Romagna e la Toscana.
L’11 marzo del 1860 iniziava lo sbarco a Marsala, in Sicilia, la spedizione dei mille che sotto il comando di Giuseppe Garibaldi avrebbe posto fine al Regno delle Due Sicilie. Il 17 marzo 1861 Vittorio Emanuele II, assumeva il titolo di Re d’Italia per grazia di Dio e volontà della nazione. Questa molto in breve le tappe che portarono all’Unità d’Italia. Ma si è voluto, non per spirito polemico, evidenziare certi aspetti che molto spesso sono taciuti. Ma il Risorgimento e quindi l’Unità d’Italia, non fu fatta solo da uomini, ma anche da donne e ne parleremo nel prossimo numero.

Torino palcoscenico di eventi
I 150 anni dell’Unità d’Italia si celebrano su uno straordinario palcoscenico, lo stesso che vide, il 17 marzo 1861, la proclamazione del Regno d’Italia. Torino e il Piemonte furono il motore di un mutamento radicale degli equilibri continentali, ponendosi come fulcro di uno dei principali eventi della storia europea del XIX secolo, il Risorgimento, di cui ancora oggi sono forti le tracce in tutto il territorio regionale.
Torino e il Piemonte presentano Esperienza Italia, il grande appuntamento dedicato all’Italia e alle sue eccellenze, in occasione del 150° anniversario dell’Unità del Paese. Capolavori artistici e culturali, creatività, innovazione, moda, qualità della vita, storia e cibo: dal 17 marzo 2011 tutto ciò che l’Italia ha di meglio da offrire al mondo sarà raccontato sul palcoscenico di Torino e del Piemonte. In programma un calendario fitto di mostre, eventi, manifestazioni sportive, spettacoli, concerti, conferenze, che saranno anche un’opportunità per riflettere sul processo di unificazione e di costruzione dell’identità italiana, guardando al futuro del Paese.
Esperienza Italia avrà due grandi cuori pulsanti, in due luoghi straordinari: le Officine Grandi Riparazioni e La Venaria Reale. Le prime, a pochi passi dal centro storico di Torino, diventeranno l’Officina dell’Italia: un laboratorio dove ricostruire il passato e dove potersi proiettare nel futuro. Un capolavoro di architettura industriale sopravvissuto nel cuore di Torino. Si affacciano sul viale della Spina Centrale, in un’area attraversata da una grande trasformazione urbanistica per l’ampliamento della cittadella del Politecnico di Torino e la costruzione della nuova stazione di Porta Susa e del centro direzionale di Intesa Sanpaolo. Parallelamente, a Venaria Reale, a pochi chilometri da Torino, il maestoso complesso barocco sarà la Reggia d’Italia, palcoscenico delle eccellenze italiane nel mondo. Ecco le principali mostre che aprono i battenti il 17 marzo alle Officine Grandi Riparazioni e sono visitabili fino al 20 novembre.

Fare gli italiani. 150 anni di storia nazionale la mostra che racconta la storia dell’Italia dall’Unità nazionale a oggi: non una successione di avvenimenti, ma una storia di persone. I protagonisti sono gli italiani, considerati nella loro diversità e raccontati in tutte quelle fasi che li hanno visti unirsi in un sentimento di comune appartenenza. Queste tappe fanno parte di un percorso lungo 150 anni durante il quale “siamo diventati italiani”. In scena i principali elementi che hanno tenuto insieme gli Italiani e i fattori che, viceversa, hanno mantenuto o alimentato le divisioni, rappresentandoli attraverso una pluralità di narrazioni e di linguaggi. L’allestimento multimediale, creativo e tecnologico, invita il visitatore a scegliere i propri percorsi e a esplorarli in modo interattivo, lungo due direttrici che corrono parallele.
Stazione futuro. Qui si rifà l’Italia. Nei prossimi dieci anni in Italia cambierà tutto. L’avvento dalla banda larga (ultra larga nelle grandi città) aprirà la strada alla telepresenza, alla telemedicina ed eliminando le scartoffie della burocrazia. Saremo tutti connessi, per condividere conoscenze, fare ricerca, lanciare imprese, fare innovazione. La Rete renderà più forti gli innovatori e potrà essere la scintilla di una nuova rivoluzione industriale. Le auto saranno elettriche, le case produrranno l’energia pulita che consumano, le malattie saranno fermate al primo insorgere, grazie a macchine sofisticatissime. Non è fantascienza. Quei progetti ci sono già. Stazione Futuro è la mostra che da qui e ora ci racconterà l’Italia degli anni a venire. Si tratta di un futuro guidato dalla tecnologia, ma anche e soprattutto da tutte quelle persone che già ora stanno lavorando per fare in modo che le loro idee diventino realtà. La mostra le porta all’attenzione del pubblico sotto forma di prodotti, processi e prototipi di nuova generazione che rappresentano la migliore espressione della creatività e dell’innovazione italiana. Provengono da istituzioni pubbliche, dai centri di ricerca privati delle grandi aziende (Fiat, Eni, Enel, Telecom, Finmeccanica…) e da singoli inventori. Il percorso espositivo è suddiviso in aree tematiche che a loro volta rappresentano i perni del cambiamento locale e globale futuro: dalla diffusione della banda alle energie rinnovabili, dalla mobilità sostenibile alla ricerca in materia di malattie degenerative, passando per il tema del lavoro fino ad arrivare al tessile più avanzato e alle sorprese che l’esplorazione dello spazio ci farà scoprire. Al visitatore è offerta una narrazione ampia e diversificata, che si confronta con oggetti di diversa scala ma anche con una molteplicità di linguaggi come video interattivi, proiezioni, ologrammi, infografica.
Il futuro nelle mani. Artieri domani. L’artigianato, negli ultimi decenni, ha visto un lento declino, diventando, da punto di forza e grande eccellenza del Paese, un’esperienza residuale. Oggi, con i cambiamenti dei modelli di lavoro, l’artigianato si sta invece di nuovo trasformando in un’interessante prospettiva per i giovani. La mostra, curata da Enzo Biffi Gentili e articolata in tre sezioni, propone appunto questo tema: l’opportunità e la necessità del rilancio di un nuovo artigianato, metropolitano e anche “metalmeccanico. E lo fa innanzitutto attraverso l’installazione temporanea di Nuove Officine, in cui saranno esposti i progetti e i prodotti di artieri di chiara fama. La seconda sezione, invece, Il tunnel treno fantasma, sarà dedicata a quella particolare forma di artigianato sofisticato oggi rappresentato dal “lavoro digitale”. Infine, sarà allestita la Galleria delle botteghe, un “arts and crafts supermarket” occupato a rotazione dall’”eccellenza dell’eccellenza artigiana” italiana.

Le Scuderie Juvarriane della Reggia di Venaria, dal 17 marzo all’11 settembre, ospitano La bella Italia. Arte e identità delle città capitali. Torino, Firenze, Roma, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Parma, Modena, Napoli e Palermo: ognuna delle principali “capitali culturali” preunitarie è stata ed è in diverso modo rappresentativa dei differenti destini e delle particolari identità delle corti e delle città italiane. La mostra curata da Antonio Paolucci vuole dare immagine alle Italie che la Storia chiamò a diventare Italia. Oltre 350 opere d’arte provenienti dai musei d’Italia, del mondo, nonché da collezioni private, racconteranno l’identità di queste città, viste da grandi artisti come Giotto, Beato Angelico, Donatello, Botticelli, Leonardo, Michelangelo, Raffaello, Correggio, Bronzino, Tiziano, Veronese, Caravaggio, Rubens, Tiepolo, Canova, Hayez, Bernini, Parmigianino, Velazquez e tanti altri. Dal percorso emerge e si afferma il profilo di un’arte e di uno stile italiano.

Per saperne di più
www.italia150.it
www.lavenaria.it
www.officinegrandiriparazioni.it
Per informazioni al pubblico e prenotazioni: 011 4992333


 
 
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