Osservatorio mamme che lavorano

LE DONNE SONO IL 55,4% DEGLI ISCRITTI
AI CORSI DI LAUREA, IL 57,1% DEL TOTALE DEI LAUREATI E IL 49,4% DEGLI ISCRITTI
AI CORSI DI DOTTORATO ED IL 50,5% DEL TOTALE DEI DOTTORI DI RICERCA.
ANCORA OGGI PERÒ SOLO IL 38,4% DEI
PROFESSORI ASSOCIATI E APPENA IL 23,7% DEI PROFESSORI ORDINARI È DONNA.
UN SOFFITTO DI CRISTALLO ROBUSTISSIMO!

Nonostante la metà delle donne si iscrive all’Università e si laurea, solo meno di un terzo arriva alla cattedra di professore ordinario.

Partiamo da alcuni fatti ben precisi ed attuali che disegnano un quadro della situazione della parità di genere all’interno del mondo universitario italiano:

  • le donne rappresentano stabilmente oltre la metà della popolazione studentesca universitaria italiana;
  • sebbene siano ancora poche le studentesse che scelgono le “scienze dure”, l’Italia vanta una percentuale di donne che hanno conseguito il dottorato di ricerca in Scienze, Tecnologia, Ingegneria e Matematica superiore alla media europea;
  • nell’ambito della carriera accademica, alla concentrazione di donne solo in alcune aree tematiche (scienze umane) si aggiunge anche quella in ruoli non apicali;
  • il personale tecnico-amministrativo, composto in maggioranza da donne, presenta analoghe dinamiche rispetto alle carriere accademiche.

Il grafico che segue mostra chiaramente che all’evolvere della carriera accademica corrisponde l’apertura di una ‘forbice’ per ciò che riguarda la parità di genere.

Si parte alla pari ma all’arrivo la metà delle donne si perde e questo sia nelle facoltà umanistiche che in quelle scientifiche o tecnologiche. È il cosiddetto fenomeno del ‘soffitto di cristallo’: si vede il piano superiore ma non si riesce ad accedervi:

L’Ufficio Statistico del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca scientifica ha appena pubblicato uno studio “Le carriere femminili in ambito accademico” che ci offre un quadro della situazione molto preciso.

Ma c’è un dato emerso nella ricerca e che per molti versi sorprende e conferma una vera e propria barriera culturale rispetto alla parità di genere: anche nelle facoltà e negli indirizzi che vedono una prevalenza di frequenza femminile arrivati alle posizioni apicali troviamo una prevalenza maschile!

Nel grafico a sinistra possiamo vedere la distribuzione di genere tra i vari indirizzi accademici nell’ultimo anno rilevabile e cioè il 2018-2019.

C’È UN SOLO GENDER GAP DA COLMARE IN ITALIA NELLE MANI DELLE DONNE E DOVE GLI STRUMENTI PUBBLICI A SOSTEGNO CI SONO E POTREBBERO

ESSERE MOLTO EFFICACI:

L’IMPRENDITORIA FEMMINILE.

SI PUò RAGIONEVOLMENTE STIMARE SULLA BASE DEI DATI E DELLE RICERCHE DISPONIBILI CHE SOLO

1 PARTITA IVA SU 10 PUò ESSERE RIFERITA

AD UN’AZIENDA CHE IN SENSO STRETTO PUO'

ESSERE DEFINITA FEMMINILE.

Le imprese femminili sono oltre un milione e 340mila e rappresentano il 22% del totale delle imprese iscritte al registro delle camere di commercio: ancora troppo poche rispetto anche alle agevolazioni ed incentivi disponibili. Inoltre gran parte di queste imprese sono partite iva di donne solo parzialmente autonome nel rapporto di lavoro.

Questi dati derivano dall’elaborazione che le Camere di Commercio realizzano sulla base delle informazioni amministrative ufficiali a loro disposizione. La versione dell’algoritmo che è utilizzata da Unioncamere è la seguente:

  • per le Società di capitale: si definisce femminile un’impresa la cui partecipazione di genere risulta complessivamente superiore al 50% mediando le composizioni di quote di partecipazione e cariche attribuite;
  • per le Società di persone e cooperative: si definisce impresa femminile quella con oltre il 50% di “Soci” donne;
  • per le Ditte individuali: si definisce impresa femminile quella con il titolare donna;
  • altre forme giuridiche: si definisce impresa femminile quella con oltre il 50% di “Amministratori” donna.

I dati presenti nell’Osservatorio sulle partite IVA del Ministero dell’Economia però ci dicono che il 27% del totale di tutte le partite IVA registrate e attive è attribuito a persone fisiche di sesso femminile a fronte del 45% della stessa tipologia riferita ai titolari uomini mentre il restante 28% è formato da persone giuridiche. Il 96,5% sono micro-imprese (94,5% quelle maschili) e il 62,3% sono ditte individuali (il 48,7% quelle maschili).

Una ricerca ISTAT del 2017 (FOCUS – I LAVORATORI INDIPENDENTI) ha poi rilevato che all’interno dell’aggregato composto dalle partite IVA individuali la componente più autonoma (datori di lavoro + autonomi puri) è composta al 75% da uomini e solo dal 25% da donne mentre le donne compongono il 50% del totale dei lavoratori indipendenti solo parzialmente autonomi.

Per PARZIALMENTE AUTONOMI si intendono quelle partite IVA che comprendono i Dependent self-employed e i lavoratori indipendenti senza dipendenti che presentano almeno tre “indizi” di subordinazione tra:

  • il dover lavorare presso il cliente,
  • ’impossibilità di assumere dipendenti,
  • ’impiego di strumenti di lavoro di proprietà del cliente o l’aver scelto di essere indipendenti in seguito a una richiesta di un precedente datore di lavoro.

Inoltre, come evidenziato da una ricerca svolta da ACTA (Associazione rappresentativa dei freelance) esiste un gender pay gap anche per le partite IVA come rappresentato dalla tabella qui sotto: il 34,8% delle donne guadagna mano di 10.000 euro a fronte del 15,6% degli uomini e il 10,3% degli uomini guadagna più di 60.000 euro a fronte del 2,7% delle donne.

Al netto quindi di tutto quanto sopra evidenziato si ricava un dato di fondo relativo alla diffusione dell’imprenditoria femminile molto poco soddisfacente.

Aggiungiamo un altro dato significativo: in Italia, nel 2018 solo il 12% delle start-up era prevalentemente femminile (9% in Francia, 11% in Germania, 30% nel Regno Unito, dati OECD). Le donne quindi restano sottorappresentate nel mondo imprenditoriale. Operano tipicamente in realtà più piccole e meno dinamiche di quelle in cui troviamo gli uomini, in settori con minore intensità di capitale, hanno ambizioni di crescita minori e incontrano più ostacoli. Le motivazioni delle donne imprenditrici sono diverse da quelle degli uomini: nella micro-impresa troviamo molte donne motivate dalla necessità di bilanciare lavoro e famiglia, oppure dal desiderio di sfuggire al “soffitto di vetro” presente nel lavoro dipendente. Esiste un potenziale imprenditoriale femminile inespresso, che sarebbe utile riconoscere e promuovere da parte dei governi. Questo è particolarmente vero in Italia, dove meno del 2% di donne (contro circa il 4% di uomini) sta iniziando un’attività propria (OECD, 2019). Le rispettive percentuali per la media dei paesi OCSE sono 5,3% per le donne e 7,9% per gli uomini. I Governi hanno un ruolo importante nel creare le condizioni per stimolare l’imprenditoria femminile ed in Italia esistono e sono attivi diversi meccanismi di incentivazione: nell’anno 2018 (ultimo anno di cui si ha intera informazione), le domande accolte a valere sul FONDO DI GARANZIA PER LE PICCOLE E MEDIE IMPRESE – SEZIONE SPECIALE IMPRENDITORIA FEMMINILE risultano 15.080 (pari a solo l’11,7% del totale delle operazioni garantite dal Fondo) per un ammontare di finanziamenti pari a E 1,3 mld (6,5% del totale dei finanziamenti garantiti dal Fondo) e un importo garantito complessivo pari a E 892,5 mln (6,5% del totale dell’importo garantito dal Fondo). Lo spazio per fare meglio c’è e forse manca solo la catena di trasmissione tra i fondi e l’energia imprenditoriale di moltissime donne.

 
Powered by Main Street Modena