DONNE MAGISTRATE

di Davide Rossello

In questi giorni la Presidenze dell’Associazione Donne Magistrate Italiane Carla Marina Lendaro ha scritto un’importante lettera al nostro Presidente della Repubblica prof. Sergio Mattarella che è anche il Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura.
Al di là dello sdegno per le conferme pervenute dalle recenti pubblicazioni delle intercettazioni, che stigmatizzano una discutibile gestione del potere giudiziario e che hanno visto da più parti riconoscere al Presidente Berlusconi la fondatezza di posizioni sempre coraggiosamente e strenuamente opposte anche a costo di personale sacrificio, la lettera consegna nelle mani del nostro Presidente della Repubblica la richiesta di misure di riequilibrio paritarie di genere, qualsiasi sia la forma che sarà apportata all’ordine giudiziario.
A prescindere da temi che possono integrare propensioni politiche diverse e sui quali si è innestato un acceso dibattito, su questo grande vulnus costituzionale il legislatore può, subito e tecnicamente, incidere con immediatezza.
Uso parole della Presidente Lendaro: “non tacersi dell’evidente caduta di stile del linguaggio utilizzato nei confronti delle donne da “piazzare” o da escludere, espressione di un sistema di potere sostanzialmente declinato al maschile e caparbiamente “blind gender” nei luoghi dell’Autogoverno e nelle posizioni di vertice della Magistratura”.
La lettera ricorda come da tempo si invochi l’inserimento della doppia preferenza di genere obbligatoria nell’attuare legge elettorale del CSM e richiama ben due proposte in questa legislatura: la mia (n.976/21018), con l’appoggio della mia capogruppo Mariastella Gelmini, giacente dal 23 luglio 2018, e quella dell’ottobre dell’anno successivo dell’On. Pollastrini (n.2233/2019). Entrambe le proposte mirano a porre rimedio ad un inaccettabile status quo.
La legge 24 marzo 1958 n.195, che ha fissato le regole per la costituzione e per il funzionamento del Consiglio Superiore della magistratura, e la legge 28 marzo 2020 n.44 che ha introdotto il nuovo sistema elettorale, non prevedevano esplicitamente la parità di genere tra gli eletti con l’effetto che nelle quattro consiliature susseguitesi (2002/2006; 2006/2010; 2010/2014 e 2014/2018) furono elette soltanto 8 donne magistrato (1 nella consiliatura 2002/2014; 4 nella consiliatura 2006/2010; 2 in quella 2010/2014 e soltanto una nell’attuale).
Inaccettabile per il popolo della Magistratura composto per il 58% da donne e con trend in crescita. Tuttavia la situazione per ora è questa: senza norme che la impongano la parità di genere è ancora l’araba fenice.
Ad essere violato non è dolo l’art.21 della costituzione – che dispone che “tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge (cfr.artt.56 c.3,58 c.2,84 c.1,97 c3, 104 c.4, 106. 135 cc. 1,2,6, XIII c.1) – ma anche altre norme (costituzionali – ad esempio l’art 3 l’art. 117 – e leggi speciali) che discriminano le donne magistrate.
Con lo scandalo delle intercettazioni uscite in questo periodo è esplosa l’esigenza di riforma dell’ordine giudiziario, ma qualunque proposta deve assicurare preliminarmente misure di riequilibrio paritarie di genere. E, nelle more, se i dibattiti andassero per le lunghe, l’equilibrio di genere nelle cariche non deve necessariamente aspettare, atteso che gli strumenti legislativi ci sono da ben due anni (e in attesa di assegnazione). Si risponderebbe in tal modo anche a precise richieste di adeguamento impellente delle politiche europee, già illustrate da Antonio Tajani e per sintesi ora non richiamate.
La lettera dunque ha un altro significato: rivolta al nostro Presidente della Repubblica, che è anche Presidente del C.S.M., ne invoca fiduciosamente il ruolo di paladino e inflessibile garante, consegnando belle sue mani la richiesta che non siano più adottati nella storia della Repubblica Italiana sistemi elettorali del C.S. M. non parimenti partecipanti.
Confidando in lui, si ricorda: “se le donne non appartengono a pieno diritto alle strutture del potere non è forse il caso di ridefinire il potere e non le donne? (Mary Beard)”
La deriva della magistratura e il quadro «sconcertante» denunciato dal presidente Mattarella sul CSM è anche una questione di genere. Il 53 per cento dei magistrati sono donne, ma nell’organo di autogoverno sembrano i panda. Altro che gender gap. Basta vedere le fotografie delle riunioni. «C’è da chiedersi come l’intreccio di affari e collusioni e interessi, tanto lontano della finalità istituzionali dell’organo di autogoverno sia potuto emergere.
La questione morale che è affiorata, investendo la magistratura nel suo complesso richiede adesso una ampia riflessione etica». Le magistrate in un documento aperto chiedono a gran voce una innovazione «ampia», recuperando un progetto (guarda caso bocciato anche nella scorsa legislatura) che prevedeva una rappresentanza di genere e un sostanziale equilibrio tra maschi e donne.

LE DONNE MAGISTRATO
A MATTARELLA

CSM va riformato partendo da etica e questione di genere «È amaro constatare quanto la nostra proposta con la doppia preferenza di genere avrebbe evitato le elezioni suppletive indette mentre resta inalterata la sotto rappresentanza di genere nel CSM oggi non più accettabile tenuto conto che la magistratura è composta dal 53 per cento di donne».
La lettera è firmata dalla presidente dell’Associazione Donne Magistrato Italiane, Carla Maria Lendaro, la stessa che nel 2015 «deplorava con fermezza la proposta approvata a maggioranza dalla sesta commissione del CSM. in data 6 ottobre di designare, ancora una volta, una sola donna tra i componenti togati del Comitato Direttivo nonostante la presenza di plurime domande presentate da magistrate».
Una indicazione che prescindendo «dalle qualità personali dei singoli soggetti prescelti» svilisce di per sé, «ancora una volta, il ruolo e la professionalità delle donne e non tiene conto della loro presenza numerica nell’ ordine giudiziario, che ha ormai raggiunto la percentuale del 50% (il 63% negli ultimi tre concorsi)».
Le magistrate da anni continuano a chiedere che la presenza di genere non può rimanere solo simbolica. Eppure, nonostante diversi appelli, reiterate lettere e inviti ciclici, tutti sembrano fare orecchie da mercante.
«Eppure una designazione dei componenti del Direttivo che rispecchi la composizione per generi della magistratura risponde ad una indiscutibile esigenza di democrazia ed alle sollecitazioni espresse dalle Corti nazionali e sovranazionali - si legge nella lettera -  in materia di pari opportunità, nonché all’impegno assunto dal nostro Paese, in tutte le sue articolazioni, ll’Assemblea Generale dell’ONU il 25 settembre 2015, con la ratifica di un documento che fa dell’empowerment delle donne non solo uno strumento di cambiamento, ma un obiettivo da perseguire in ogni espressione della vita politica e sociale».


Sulla questione morale documento di a.d.m.i. Associazione Donne Magistrato
Le indagini condotte dalla Procura della Repubblica di Perugia hanno fatto emergere fatti di particolare gravità che, pur riguardando pochi magistrati, interrogano tutti sulle cause di questa deriva che ha investito la Magistratura e l’Organo di autogoverno.
C’è da chiedersi come all’interno di un sistema che ha visto il sacrificio della vita di non corruzione, un profondo attaccamento alle istituzioni democratiche che ha portato alla rimozione di interessi e di collusioni tanto lontane dalle finalità istituzionali dell’Organo di autogoverno.
La questione morale che ha investito la magistratura nel suo complesso richiede un’ampia riflessione etica ed impone interventi rapidi per un “cambio di rotta”, con opportune ed indilazionabili iniziative di “autoriforma”, prima che prevalga il progetto da tempo coltivato dalla politica di controllare e condizionare la giurisdizione.
Certamente la magistratura associata non ha reagito con adeguata fermezza ad un sistema elettorale che da un lato, ha attribuito un ruolo preminente ai gruppi associativi e dall’altro, ha accentuato la gerarchizzazione degli uffici giudiziari, soprattutto quelli di Procura, incoraggiando le ambizioni carrieristiche di alcuni magistrati e rendendo marginale il criterio dell’anzianità “di servizio” ed eccessivamente discrezionale la scelta dei dirigenti.
Sulla necessaria riforma del sistema elettorale del C.S.M. va recuperata l’elaborazione svolta dall’A.D.M.I. nella passata legislatura.
È amaro constatare quanto l’approvazione della nostra proposta con la “doppia preferenza di genere” avrebbe evitato le elezioni suppletive indette oggi non più accettabile, tenuto conto che la magistratura è composta dal 53% da donne.
Per tali ragioni A.D.M.I. rivolge un appello alle colleghe ed ai colleghi, ai gruppi associativi ed alla A.N.M. perché si dia corso ad un serio confronto ed ampio dibattito, nella consapevolezza che l’autoriforma significa riappropriarsi di quei valori e comportamenti che hanno fatto la storia della Magistratura italiana.
È più che mai necessario rafforzare il senso della giurisdizione come “servizio” e non come esercizio di “potere”.
In tal senso esprimiamo totale adesione alle preoccupazioni espresse dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo discorso al Plenum straordinario del C.S.M. e assicuriamo il nostro incondizionato impegno per il rinnovamento dell’istituzione di giustizia.
A.D.M.I. La Presidente
Carla Maria Lendaro

 

 

 

 
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