Domus Clari Geminiani

di Cecilia Brandoli


Il Duomo di Modena sorge, insieme alla Ghirlandina e a Piazza Grande, al centro della città e ad oggi è uno dei più importanti monumenti romanici. Per cogliere pienamente il senso di questo capolavoro occorre guardarlo certamente con la prospettiva dello storico e dell'artista, ma anche dal punto di vista del credente. La Cattedrale, infatti, è stata concepita prima di tutto come luogo di professione e trasmissione della fede: l'espressione della comunità religiosa modenese che ne ha voluto la costruzione.


Ciò che sta all’origine della costruzione del Duomo come “domus clari Geminiani” è la devozione dei modenesi a San Geminiano, vissuto dal 312 al 397, secondo vescovo e patrono della città: durante il 1099, in tutta Europa, stanno sorgendo stupende cattedrali, così come le colonne militari cristiane, e anche Modena risente di questo fervore. Tutti le classi sociali decidono all’unanimità che l’ormai decadente tempio che custodiva da secoli la tomba di Geminiano doveva essere rinnovata e riedificata.
I lavori iniziano, sotto la direzione dell’architetto lombardo Lanfranco, il 23 maggio 1099 e la posa della prima pietra avviene il 9 giugno 1099. L’atto di fondazione è ricordato dallo scultore Wiligelmo nel rilievo marmoreo posto sulla facciata che ritrae i profeti Enoch ed Elia che reggono la scritta latina “Mentre il Cancro sormonta trionfalmente il corso dei Gemelli, nel giorno 9 del mese di Giugno dell’anno 1099, è fondata questa casa del chiaro Geminiano”. Il 30 aprile 1106 avviene la consacrazione dell’altare e la solenne traslazione nella cripta delle spoglie del Santo alla presenza della Contessa Matilde di Canossa, dei Cardinali, dei Vescovi, di Lanfranco e tutta la popolazione. Nel 1184 la costruzione del Duomo può considerarsi terminata. Papa Lucio II consacra la Cattedrale il 12 luglio 1184.
Dal XIV al XVII secolo l’interno subisce cambiamenti secondo i gusti dell’epoca. Nel 1852 cominciano i lavori sistematici di restauro. Dal 1914 al 1921 la Cattedrale è ricondotta alle linee presumibili del XIII secolo.

Arte e architettura

Il Duomo, a tre navate, è espressione della basilica romanica e sviluppo della struttura della basilica paleocristiana. Il genio di Lanfranco ne fa un capolavoro del romanico. Il rosone gotico a ventiquattro raggi, i due portali laterali della facciata e la Porta Regia sul fianco meridionale sono opera dei maestri Campionesi, famiglia di architetti e scultori provenienti da Campione (lago di Lugano), che lavorano alla Cattedrale successivamente a Lanfranco fin verso il 1230, tramandandosi di padre in figlio il compito di completare l’edificio.
Per i rilievi marmorei, scolpiti da Wiligelmo e la sua scuola, il materiale utilizzato è quello fornito dalle antiche costruzioni della città romanica scavato nel sottosuolo. La costruzione ebbe inizio  circa contemporaneamente da est e da ovest, quindi dalla facciata e dalle absidi.
La facciata è suddivisa in tre parti, corrispondenti alle navate interne. Il portale centrale è opera di Wiligelmo: i due leoni stilofori romani che reggono le colonne del protiro furono probabilmente già utilizzati nella Cattedrale precedente, ma gli originali ricollocati qui solo nel 1924, sostituendo le copie.
In quattro bassorilievi, Wiligelmo scolpisce alcune immagini della storia della Genesi, dalla creazione alla fine del diluvio, con particolari dal significato ricchissimo. E’ raffigurato il Cristo nuovo e vero Adamo. Il Creatore ha un’aureola cruciforme e sul libro che tiene in mano (prima figura della rappresentazione) sono scritte le parole del Vangelo (“Io sono la luce del mondo, la via vera, la vita perenne”). Tutto ciò indica che le sculture vogliono ricordare l’unità di Dio Creatore con Cristo Salvatore. Wiligelmo fa risaltare in forma plastica l’amore di Dio per l’uomo, venuto a dare la vita.

Un patrimonio "senza tempo"
Dal dicembre 1997 il complesso “Duomo, Torre Civica e Piazza Grande” è inserito nell’elenco dell’Unesco, ente europeo per la tutela dei beni culturali e naturali, delle meraviglie universali da proteggere. E’ il primo caso emiliano e allo stesso tempo il primo caso che prevede la tutela unitaria di una piazza con i suoi monumenti.
Per parlare di patrimonio universale, un monumento deve avere influenzato lo sviluppo dell’architettura e delle arti in un dato periodo e area di riferimento oppure possedere dei veri e propri punti di eccellenza nell’architettura e nella concezione, avere materiali autentici, così come deve essere autentica l’esecuzione e l’ambiente circostante, deve avere una protezione giuridica e una gestione che assicuri la conservazione del bene.
Il complesso modenese ha tutte queste caratteristiche che lo rendono unico e originale nel contesto della scultura romanica italiana e europea. Le novità introdotte da Wiligelmo si sono espanse su un ampio bacino territoriale e alla sua tecnica sono riconducibili alcuni dei massimi monumenti medievali italiani. I rilievi tridimensionali della Genesi da lui scolpiti appaiono tra le più alte e precoci testimonianze europee della rinascita della scultura dopo la lunga assenza che caratterizza l’alto medioevo. Il protiro, la sorte di baldacchino a due piani, sorretto da colonne e presidiato da leoni, che si trova nella porta occidentale, è originario del Duomo modenese ed è stato trovato ripreso in architetture lombarde e emiliane del XII secolo.
Il complesso Ghirlandina-Piazza-Duomo offre anche un esempio di insediamento urbano legato ai valori della civiltà comunale, con il suo intreccio di funzioni economiche, civili e religiose: una testimonianza per comprendere la società urbana dell’Italia settentrionale tra XII e XIII secolo.
Per quanto riguarda la materia (autenticità formale), vi è assenza di modifiche o trasformazioni della forma iniziale. Anzi, vi è un arricchimento di significati rispetto al messaggio iniziale fino alla creazione di due messaggi: quello originario (essenziale e assoluto) e quello storico (evolutivo), scaturito dalle variazioni nel tempo. In questo senso convivono perciò autenticità diverse, ognuna delle quali corrisponde a valori diversi presenti nel monumento: il valore formale dell’oggetto come opera d’arte (autenticità formale), il valore di fonte di conoscenza (autenticità storica), il valore di significato come simbolo e di significato sociale dipendente dalla cultura nel momento iniziale (autenticità del significato originario).

Wiligelmo

L’unico documento che possediamo su Wiligelmo sono le tre righe della lapide posta sulla facciata principale che ricorda la data della fondazione del Duomo: “Inter scultores, quanto sis dignus onore, claret scultura nunc Wiligelme tua”. Il verso lo qualifica come sculture, anche se noi non sappiamo esattamente né la sua provenienza né la sua formazione, ma la sua massima espressione si trova proprio nella nostra cattedrale. Esistono incertezze anche sull’attribuzione di una netta distinzione tra la professionalità di Wiligelmo e quella dell’architetto Lanfranco: all’interno della stessa personalità, potrebbero esserci intrecci di competenze e al primo potrebbero essere ricondotti contributi non solo scultorei. L’elogio posizionato sulla facciata, proprio dove l’aspetto scultoreo è molto ricco, sembrerebbe confermare questa intuizione.
I personaggi di Wiligelmo sono particolarmente vivi per i gesti espliciti e intensi. Ciò che caratterizza la sua scuola è la grande capacità di reinventare le immagini secondo le esigenze locali e della committenza, trasformando in racconto una complessa vicenda storica.
I capitelli della loggia e le semicolonne, opera di Wiligelmo e della sua scuola, sono arricchiti da motivi vegetali e fantastici che, insieme alle raffigurazioni sacre, profane, celesti e i mostri sulla facciata, rappresentano il mondo spirituale, la fede, le credenze dell’uomo medievale.
L’arte di Wiligelmo è espressa in modo esplicito nella decorazione del Portale Maggiore dove egli sintetizza la visione del mondo dell’uomo del suo tempo: tra i rami del bosco, luogo insidioso ma simbolo di vita, abitano esseri mostruosi, immagine del peccato che sempre minaccia il cammino spirituale dell’uomo.
Wiligelmo e allievi lavorano anche alla Porta dei Principi che si affaccia su piazza Grande e che narra con le immagini episodi della vita di San Geminiano. Da qui, anche chiamata Porta del Battesimo, entravano coloro che dovevano ricevere il primo dei sacramenti che è richiamato dalle immagini scolpite sotto l’architrave, mentre negli stipiti si intrecciano vegetali popolati da animali e uomini.

Lanfranco
Oltre ad essere architetto e responsabile dell’organizzazione del monumento romanico, è anche artefice del modello architettonico diffuso nei territori matildici. Tra le caratteristiche della Cattedrale di Lanfranco vi sono la forma neo-basilicare, che richiama la chiesa paleocristiana, e la presenza di tre absidi, secondo la tipologia cluniacense. Lanfranco apre una sola porta centrale e due minori sui fianchi, mentre una loggia percorre l’intero perimetro della cattedrale.
La cronaca narra che i modenesi faticarono molto per trovare un architetto capace di dar corpo alla ricostruzione della chiesa cittadina. All’esterno dell’abside centrale è esposta la lapide che ricorda Lanfranco e la fondazione del Duomo: l’architetto è rappresentato mentre dirige il cantiere e mentre assiste alla traslazione delle spoglie di San Geminiano dalla vecchia alla nuova cattedrale, accanto al vescovo di Ravenna, a Matilde di Canossa e all’aristocrazia cittadina. Quest’immagine è il simbolo dell’importanza dell’artista nella prima età gotica.

Il Presepe Porrini

Nell’abside meridionale di destra si trova l’opera del plastificatore modenese Guido Mazzoni (1450 ca. - 1518). In origine destinato a monumento funebre della famiglia Porrini (1480 – 1485 ca.) e plasmato in modo essenziale, la Sacra Famiglia offre una commovente immagine di intimità domestica come poteva realizzarsi in una casa borghese di fine quattrocento.
Le figure in terracotta sono a grandezza naturale: la Madonna è seduta frontalmente col bimbo in grembo, mentre una serva soffia sul cucchiaio per porgergli la minestra. A fianco, due personaggi inginocchiati: sono i committenti Francesco Porrini, dai lineamenti realistici, e la moglie Polissena, che alcuni studiosi identificano nelle vesti di Sant’Anna e San Giuseppe. L’ultimo restauro ha collocato queste due figure in posizione impropria rispetto al gruppo centrale e ciò rende il loro atteggiamento e sguardo non collegato alle altre figure. 
La giovane che goffamente gonfia le gote per raffreddare la pappa (popolarmente conosciuta come “Sor Pappina”), con i capelli raccolti in modo disordinato e gli abiti semplici di contadina, contrasta con la rappresentazione idealizzata della Madonna.
Si nota, inoltre, che il personaggio maschile appartiene all’alta borghesia mercantile modenese in quanto vestito con cappotto doppiato col pelo d’agnello all’interno e appesa alla cintura porta una borsa rigonfia di denari sulla quale è impressa una moneta modenese.

Natività del Begarelli

Antonio Begarelli (1449 ca. - 1565), uno dei maggiori esponenti del Manierismo emiliano, assunse un ruolo fondamentale dopo la morte di Guido Mazzoni continuando la sua arte privilegiando la tecnica della terracotta. Aveva solamente diciannove anni quando eseguì la committenza ecclesiastica e subito si manifestò alla città come futuro plastificatore.
Opera del 1527 formata da tredici figure, in origine fu collocata nella navata settentrionale tra il piano dell’altare e la pala di San Sebastiano, poi trasferita nel 1914 nella navata meridionale, attuale posizione. Il Presepe del Begarelli raffigura la natività di Gesù in una grotta e, attorno alla Sacra Famiglia, compaiono, in un complesso armonico, pastori e animali che nei loro gesti esprimono stati d’animo e relazioni. In un dialogo di stupore, curiosità, adorazione, i personaggi e l’ambiente entrano in realistica interazione.

San Geminiano
Venerato come santo, è protettore e secondo vescovo della città di Modena: ritenuto originario del territorio modenese e di famiglia romana, gli studi più recenti collocano il suo episcopato tra il 342-44 e il 396 circa che, secondo la tradizione, fu particolarmente fecondo grazie alla conversione della città al cristianesimo e la consacrazione dei templi pagani al nuovo culto. La ricognizione del 1955 delle sue reliquie ha permesso di constatare che il sarcofago è, per le sue caratteristiche, sicuramente quello originario della sepoltura.
Uomo di preghiera e pietà, è ricordato per i suoi poteri sui demoni, motivo che portò la sua fama fino alla corte di Costantinopoli dove si recò per cercare di guarire la figlia dell’imperatore Gioviano. Tutta la storia modenese è permeata dal ricordo del Santo e l’antica liturgia modenese lo invocava come difensore dalle avversità. Si narra che nel 452, Attila, il “Flagello di Dio”, scendendo dal Veneto si apprestava a invadere e incendiare anche Modena: i modenesi fecero ricorso a San Geminiano che invocò l’aiuto di Dio e fece scendere la nebbia sulla città. Attila non riuscì ad individuare la città, proseguì verso sud ed essa fu salva. Un’altra leggenda racconta che Geminiano apparve sotto aspetto di demone ai francesi nella notte tra il 17 e il 18 febbraio 1511, quando stavano minacciando Modena. Alla sua vista, il capitano Carlo D’Amoise e le sue milizie retrocedettero verso Rubiera e molto soldati annegarono nel fiume Secchia.
La sua festa è celebrata il 31 gennaio, anniversario della depositio, e il 30 aprile, anniversario della traslazione del corpo.

BIBLIOGRAFIA
RENATO CAVANI, Il Duomo di Modena “Casa di San Geminiano”, I Musei del Duomo, Arcidiocesi di Modena - Nonantola, 2006.
PATRIZIA BELLOI, ELIS COLOMBINI, Itinerario Romanico illustrato, Alternative 1999.
PATRIZIA BELLOI, ELIS COLOMBINI, Guida di Modena, Alternative, 1992.

Tratto dal libro ‘Domus clari Geminiani’ - Fondazione cassa di Risparmio di Modena




 
 
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